Un po’ di storia

ARTE, CULTURA, TERRITORIO, ECONOMIA

La storia

Intorno ad un calice, ad una brocca, ad un pezzo realizzato in cristallo c’è un mondo di artigiani e professionisti sapienti che contribuiscono alla creazione di un’opera d’arte.

Designer, soffiatori, molatori, incisori.

Ciascuno pone la propria firma sull’oggetto mentre questo prende forma, contribuendo in modo fondamentale al risultato finale, costruito con infinita pazienza, attenzione e precisione.

La tradizione

La tradizione del vetro in Toscana risale all’epoca degli etruschi. Passando a testimonianze più recenti, come il medioevo, si ha la possibilità di avere forme e tipi di contenitore che ci informano sulla produzione vetraria in Toscana, spesso trascurata a favore della più conosciuta Venezia. Alcuni documenti attestano che in Toscana esistevano delle vetrerie già nel XII secolo e che queste erano localizzate tra le valli dell’Elsa e dell’Era. Sicuramente ciò sarà stato favorito dalla presenza di boschi estesi e di ricchi giacimenti di materie prime.


Il cristallo in Toscana

I documenti (1230 circa) fanno riferimento in special modo ai bicchierai della zona del comune di San Gimignano; altre fonti rendono nota la concorrenza esistente tra le fornaci fiorentine e quelle di San Gimignano, come quelle di Montaione e San Miniato. In queste vetrerie si producevano tutti i tipi di vetro di uso domestico, per i quali i toscani si avvalgono dell’appellativo di bicchierai. La fabbricazione di tali oggetti è presente pure nelle pitture, che forniscono esempi sulle forme del tempo. 

Un esempio sono i fiascai, ossia i produttori dei fiaschi, che possedevano anche la licenza per venderli e rivestirli. Sempre a Siena una gabella faceva divieto di costruire fornaci a meno di quindici miglia dalla città, ma alcuni resti fanno supporre che nel Quattrocento l’attività fosse esercitata dentro le mura nelle zone di Castelvecchio, S. Cristoforo e S. Vincenzo. 

In questo periodo sono però i vetri valdesiani a detenere il monopolio di gran parte della produzione dal momento che i documenti parlano di bicchiere Gambasinus5, proveniente dalle fornaci di Gambassi. Durante il Rinascimento, nelle collezioni cominciarono ad apparire vasi e coppe in cristallo di Rocca. 

Con i Medici fecero la comparsa in Toscana alcuni maestri veneziani, fra cui Bartolo di Luigi, allievo di Angelo Barovier, per apprendere i segreti del cristallo. 

Alcune fornaci di corte servirono per la fabbricazione di vetro ottico e per la molatura delle lenti, con il metodo sperimentale di Galileo Galilei. Il periodo delle vetrerie medicee si conclude con l’invenzione del vetro “à la façon de Bohème”, un vetro pesante, lavorato, inciso e talvolta colorato.  Nel Seicento si perfezionarono i bicchieri a calice e i vetri da farmacia per le spezierie toscane. 

Dopo l’unità d’Italia, il settore del vetro toscano fu penalizzato dagli elevati costi dovuti all’importazione di materie prime dall’estero, che non consentivano di investire il capitale in impianti tecnologici. Tuttavia in alcuni centri della regione si assistette ad un ampliamento della gamma dei prodotti: vetro bianco per articoli per la tavola, per uso farmaceutico e flaconeria, vetro verde con cui si realizzavano bottiglie, fiaschi e damigiane. 

Nell’ambito farmaceutico venivano infatti prodotti mortai con pestello, imbuti forniti in 7 diversi diametri della bocca, bottiglie graduate per ospedali da 500 grammi, bottiglioni da ospedali da 10 litri forniti sia svestiti che vestiti di “vinchi” ossia di vimini, albarelli e vasi da farmacia, disponibili sia lisci che tagliati a mezza costa, 4 tipi di bicchiere da analisi, bicchieri cilindrici da esperienze chimiche forniti in 4 diverse capacità, fino ai 1500 grammi e sia lisci che graduati. E ancora boccarole per ossigeno, e le storte: a globo per donna e per uomo, e quelle allungate a triangolo chiamate anche pappagalli. Quasi tutte le produzioni erano in vetro verde chiaro o in giallo scuro per le bottiglie destinate ai medicinali deperibili alla luce solare. Tuttavia per ottenere di nuovo l’antico prestigio, bisogna attendere il Novecento per la produzione di vetro e il secondo dopoguerra per il cristallo. 
Ma questa è già la storia di Colle Val D’Elsa… 


Il cristallo di Colle Val D’Elsa

Si può affermare che la produzione vetraria a Colle inizia attorno alla metà del XIV secolo. In questo stesso periodo si vede anche lo sviluppo della produzione della carta destinata a rappresentare, fino alla seconda metà del XVII secolo, l’attività prevalente. 

Questo fattore costituì per il paese una spinta molto preziosa, la quale ebbe delle conseguenze positive sullo sviluppo economico: rispetto ai centri limitrofi, legati ad una economia di carattere agricolo, Colle Val D’Elsa ebbe un ambiente più aperto a ricevere quegli impulsi che la guidarono verso un industrializzazione dell’economia. Da notare che l’avvio delle prime vetrerie fu possibile grazie ai fattori ambientali: le materie prime erano reperibili in loco, come la presenza di abbondante vegetazione che offriva diversi tipi di legna sia da ardere per i forni, per la creazione di stampi e per la produzione delle ceneri necessarie per la formazione del vetro. Il 20 aprile 1577 il Granduca di Toscana promulgò un’ordinanza per abolire l’importazione del vetro straniero nello stato fiorentino, spinto da preoccupazioni per la concorrenza industriale di altri stati e dalla volontà di incentivare la produzione locale. 


Quindi il territorio di Colle Val D’Elsa ebbe un ulteriore accrescimento nel suo sviluppo, in questo caso di carattere politico e amministrativo. La produzione vetraria colligiana aveva il supporto fondamentale di maestranza tra cui si distingueva il vetraio muranese Bortolo d’Alvise. Allo stesso tempo si aveva la presenza anche di artisti autori di splendidi disegni per vetri, come quelli del veronese Jacopo Ligozzi. Ciò metteva Colle in contatto e in confronto con altre realtà culturali sia italiane che estere. Oltre all’arte vetraria, anche le famose cartiere colligiane avevano un posto preminente nell’area di Colle, tanto che portarono ad includere Colle Val D’Elsa tra le prime città manifatturiere della Toscana. Verso la fine dell’Ottocento si ebbe un periodo in cui Colle vide il declino di alcuni impianti industriali (vetrerie e cartiere). Le cause furono diverse, tra le principali la presenza di una classe di proprietari terrieri, i quali non dimostrarono mai fiducia nei confronti di investimenti nel settore industriale, fermandone così lo sviluppo, e alla mancanza di collegamenti ferroviari necessari per un forte sviluppo commerciale. 

Dagli anni ’60 ad oggi


Gli anni Sessanta furono per Colle e la sua industria una fucina di novità. Il boom economico era scoppiato da ormai cinque anni; il grande successo conseguito all’estero dell’industria italiana cominciò ad associarsi al particolare approccio progettuale di alcuni dei migliori prodotti della nuova cultura industriale. La Vespa, la Lambretta, la 600: solo per ricordare alcuni degli oggetti che stavano riempiendo il mercato mondiale in quegli anni, oggetti pensati e nati in Italia. Colle Val D’Elsa prese la strada dell’innovazione nello stesso anno del cristallo, il 1963, anche se ancora il ritorno d’immagine del fenomeno non era evidente come lo sarebbe stato dieci anni dopo, dai primi anni Settanta, specie a partire dalla famosa mostra, tenuta nel 1972 al MOMA di New York, “The New Domestic Landscape in Italy”. Il promotore del processo fu il milanese Bruno Bagnasacco che nel 1963 fondò l’ex novo Arnolfo Di Cambio, un’azienda che per tutto il decennio successivo avrebbe fatto del design la propria bandiera. Quando, un anno dopo, cominciarono a lavorare, il primo articolo in produzione fu “Smoke”, un calice dalla forma particolare firmato da Joe Colombo. Negli anni successivi le collezioni con designer famosi aumentarono: Marco Zanuso, Sergio Asti, Cini Boeri

Nel 1971, quando in tutto il mondo del lavoro erano diventati aspri i contrasti sociali e si andava verso un aumento incontrollato del costo della manodopera, la proprietà decise di fare il salto completo nell’automatico. Per arrivare a questo traguardo naturalmente erano necessari investimenti notevoli. Il 3 gennaio 1973 il primo cristallo fuso iniziò a filare da quello che per gli addetti diventerà il “mitico Forno 1”. Iniziò quindi concretamente l’avventura alla conquista tecnologica. In quegli anni erano quattro le aziende che erano rimaste attive

  1. la Calp, ormai quasi del tutto dedita alla produzione automatica. 
  2. La Kristall Krisla (nata nel 1968) con una produzione semiautomatica. 
  3. La Vilca (nata nel 1963 successivamente alla chiusura della Salc) con una produzione tradizionale. 
  4. La Vav con una produzione tradizionale di articoli composti non solamente da cristallo. 

Arnolfo Di Cambio cessò di operare ma riprenderà in futuro con un assetto proprietario modificato. Ad inizio anni Settanta fu la Kristall Krisla a mostrare una vitalità particolare, iniziò col trasformare l’immagine con la quale era conosciuta sul mercato: da “Cristalleria di saliere” al disegno di linee dotate di originalità e soprattutto pulizia di tratto. L’anima di quella novità capì che vi era bisogno di un ulteriore cambiamento e decise di segnare una cesura con il passato cambiando anche il nome e, questa volta, voleva un nome italiano, con riferimenti territoriali specifici. Nel 1986 la Kristall Krisla diventò “Colle Cristallo di Val D’Elsa”. 

 

Negli anni Ottanta proseguì bene chi, come la Calp, si era emancipato puntando con audacia sulla tecnologia; oppure chi aveva lavorato sulla propria immagine e identità come la Colle (azienda aiutata dal forte segno di Mangiarotti). Per altri operatori le difficoltà si accentuarono poiché non erano stati in grado di adeguarsi alle novità dei mercati; come ad esempio le fornaci della lavorazione manuale e i piccoli laboratori artigiani costretti a fornire prestazioni spesso standardizzate. 

Il discorso è più ampio e tocca anche la mancanza di una strategia comune, un lavoro di collaborazione tra aziende o tra laboratori che invece si facevano dura concorrenza, talvolta si copiavano tra di loro, ma mai lavoravano insieme per perseguire la valorizzazione di un’immagine peculiare del cristallo colligiano. 

Di un prodotto, cioè, capace di imporsi per la qualità, ma anche per la sua antica tradizione e, soprattutto, per la sua riconoscibilità al pari dei prodotti europei più accreditati, quelli che hanno costruito nel tempo un’immagine inconfondibile, diventata essa stessa garanzia di qualità. 

Qualcosa cominciò a muoversi proprio a partire dalla difficoltà che l’articolo tagliato incontrava sempre di più, un po’ per l’avvento delle nuove macchine che sostituirono la mano dell’uomo, un pò a causa dei nuovi gusti desiderosi di articoli meno elaborati. Nel 1989, per iniziativa di alcuni intagliatori tra cui Mario Gelli, nacque la “Crystal Genesis”, un sodalizio di artigiani destinato a incrementarsi nel decennio successivo. 

Tra le iniziative più interessanti un corso per giovani intagliatori (un ricambio generazionale legato strettamente all’innovazione iniziò ad essere percepito come una necessità) tenuto nel 1990. Negli anni Novanta ci furono delle novità, legate probabilmente a questo cambio generazionale: dai contatti più sistematici con il mondo del design alla creazione, nel giugno 1994 della Società Consortile Cristallo di Colle Val d’Elsa, società diretta dalla Crystal Genesis. Aperta a tutti gli operatori industriali, artigianali e commercianti del cristallo, aveva lo scopo di rilanciare il prodotto anche attraverso la creazione di un marchio che gli desse una chiara identità e garanzia di qualità. L’intenzione era quella di diventare nel tempo il primo marchio di Denominazione di Origine Controllata d’Europa applicato ai prodotti non alimentari. Il primo atto del consorzio consistette nella trasformazione della mostra generica dell’artigianato e del cristallo in un appuntamento specifico sul prodotto tipico di Colle. Si iniziò con una nuova veste: “Cristallo tra le mura”, un percorso per le strade del centro storico in cui le botteghe permanenti, alcune anche con veste di laboratorio artigianale, si alternavano ad altre aperte appositamente per la mostra. L’istituzione del nuovo appuntamento sembrava andare verso la direzione giusta, quella che aveva come obiettivo una giusta combinazione tra un prodotto carico di storia e suggestioni e l’immagine della città e del suo territorio, altrettanto pieni di cultura e di legami con il passato. Il marchio “Cristallo di Colle di Val D’Elsa”, nacque tre anni dopo, nel settembre del 1997:

al centro la testa di un cavallo fiammeggiante, simbolo della città ma anche del fuoco da cui nasce il materiale che col tempo è diventato esso stesso il simbolo identitario di Colle. Il marchio era segno di identità, una garanzia per il cliente. Un anno prima, il 30 marzo 1996, un evento importante contribuì a diffondere un rinnovato clima di fiducia: si tratta della lunga visita di Giovanni Paolo II alla Calp. Indirettamente l’incontro rappresentava anche un riconoscimento per il principale prodotto di Colle e per i valori che vi erano sottesi, di abilità manuale e tecnologica e di qualità. Nel corso del decennio si susseguirono anche le iniziative con le quali si cercava di dare pari dignità alle aziende di prima lavorazione e ai laboratori di seconda: “Mestieri D’Autore”, workshop dello IED, mostre ed esposizioni in Colle e fuori, in Argentina, a Firenze, a Milano, a Senigallia. Si iniziò a lavorare, inoltre, per la realizzazione di un museo e nel 1999 l’amministrazione comunale prese contatti con Jean Nouvel (architetto e designer francese) per la creazione di un centro del cristallo, che presto si allargò ad altri progetti di riqualificazione della città. Due anni dopo, nel 2001, il Museo del Cristallo vide la luce. Nello spazio, che coincideva con quello in cui avevano lavorato un tempo la Schmidt e poi le Boschi, venne ricostruita la storia del vetro e del cristallo di Colle e trovavano casa le informazioni sulla tradizione del mestiere. Parallelamente nella biblioteca comunale venne avviata la realizzazione di una sezione apposita che raccoglieva testi, articoli, riviste, cataloghi della produzione colligiana e della tradizione vetraria italiana e mondiale. 

La Calp per tutti gli anni Novanta continuò a crescere. Diventata da tempo il fulcro centrale di tutta l’area, raggiunse la leadership nazionale del cristallo e un ruolo prestigioso in Europa. Anche la Colle, passata attraverso vari cambiamenti nella proprietà, a metà anni una Novanta venne acquisita quasi per intero dalla Bormioli Rocco e Figli s.p.a. di Parma, continuò a detenere una discreta fetta di mercato. La Vilca proseguì la lavorazione del prodotto soffiato tradizionalmente, anche con articoli nati attraverso operazioni originali di design ed aveva successo anche a Londra e a New York. Nell’ultimo scorcio del secolo tornò alla gloria Arnolfo di Cambio, azienda che decise di puntare ancora una volta sul design, con nomi famosissimi: Enzo Mari, Ettore Sottsass, Roger Tallon. Negli anni successivi la collaborazione si estese ad altri designer, anch’essi di fama internazionale. 

Nel 2003, a quasi dieci anni dall’istituzione, il Consorzio del Cristallo riuniva 56 aziende tra produttori, laboratori, stampisti e negozi di vendita al dettaglio. La Calp era ancora una grande azienda con un fatturato di circa 85 milioni di euro. Nello stesso anno la Vilca incorporò la Colle prendendo il nome di ColleVilca. 

Subito dopo cominciò un periodo di grande turbolenza che interessò tutto il settore, dovuto essenzialmente alla fase di difficoltà attraversata dalla Calp. La crisi era, in realtà, iniziata già nel 2001: il ristagno dei consumi, specie del tipo voluttuario come il cristallo, seguito all’incertezza e allo sconcerto derivato dall’attacco alle Torri Gemelle, provocò l’emergere di problemi forse inevitabili nella storia di un’azienda abituata a crescere ininterrottamente fin dalla sua fondazione. Dal luglio 2007 la Calp diventa RCR Cristalleria Italiana s.p.a.  

La ColleVilca nel frattempo ha continuato a promuovere la sua immagine di cristalleria legata alla tradizione e alla qualità del prodotto artigianale, quella più vicina alle caratteristiche dell’azienda madre (Vilca) pur coltivando ambizioni che provenivano dal lascito della Colle. I laboratori artigiani hanno proseguito fino ad oggi la loro attività di artigianato artistico pur avendo avuto anni di difficoltà; sono, infatti, loro che spingono per riprendere più intensamente il rilancio dell’immagine del Cristallo Colle Val D’Elsa, per ricominciare insieme (tutte le varie realtà del cristallo colligiano, dalla più piccola alla più grande) il percorso, mettendo nuovamente in campo con più convinzione e risorse, l’esperienza e la riconoscibilità guadagnate nel frattempo dal Consorzio del Cristallo.